“Che fine ha fatto la fornace romana di Albinia? Sarebbe idea bellissima per promuovere la Maremma: si è parlato di fare un museo, magari col sostegno delle aziende vinicole della zona, ma non si è fatto nulla. Tu ne sai qualcosa?”.
No, purtroppo, non ne so nulla e non ho saputo cosa rispondere alla produttrice di vino che giorni fa mi ha posto la domanda. Eppure, ero stata anch’io ad Albinia quando nel 2001 furono trovate le prime grandi fornaci. Era notizia così bella, che ne feci subito un paginone per Repubblica: trovata la fornace di produzione delle anfore che hanno portato vino di Maremma in tutta la Francia.
Avete letto bene: vendevamo vino ai Galli. E non poco ma tantissimo, a giudicare dalle dimensioni delle fornaci e dai milioni (letteralmente) di anfore di Maremma che si trovano in tutti i siti archeologici francesi. E pure vino scadente, che tanto allora i Galli non ci capivano niente.
La cosa durò per un periodo non breve tra II e I secolo a.C., fino a quando Giulio Cesare conquistò la Gallia e portò la coltivazione della vite anche lì. Poi, beh, si sa com’è andata a finire: i francesi hanno saputo vendere il loro vino meglio di noi. E noi siamo così stupidi, che ancora oggi nel nuovo millennio, non sappiamo vendere al mondo una notizia da urlo come questa.
Faccio pure un mea culpa perché anch’io, da giornalista, avrei dovuto seguire la cosa e insistere con le istituzioni, nel vedere che non nasceva né un museo né null’altro. Gli archeologi (italiani dell’Università di Bologna, e francesi del Cnrs) hanno fatto le loro belle ricerche tra mille difficoltà economiche, e hanno pubblicato i risultati. Poi però non si è fatto più nulla e, ironia della sorte, è giunta pure l’alluvione dell’Albegna a mettere una bella pietra tombale su ogni cosa.
È tutta colpa degli archeologi che “hanno solo interesse a scavare e pubblicare per motivi di carriera”, come hanno affermato recentemente i volontari che hanno vigilato durante le feste il sito di Mont’e Prama in Sardegna? Beh, un po’ sì, diciamocelo: ancora troppi archeologi pensano solo alla ricerca e non alle sue utilità per la gente. Ma non è forse anche colpa delle istituzioni tutte, che non appoggiano gli archeologi neppure quando fanno scoperte così belle?
Colpa dei politici e amministratori locali, sempre pronti a tagliare il nastro e ad annunciare con sicumera “l’anno prossimo qui sorgerà un museo”, “promuoveremo le anfore romane e i vini locali fino in Australia”, salvo poi scordare tutto quando cambiano incarico. E colpa dell’assenza nel nostro paese di una seria politica dei beni culturali che imponga un rapporto proficuo tra la ricerca scientifica e la gente. Colpa di un sistema che non c’è, e che sappia assicurare continuità ai progetti nonostante i balletti della politica, in modo che l’iter dalla ricerca al restauro alla comunicazione alla valorizzazione sia imprescindibile. Che i soldi si debbano trovare per forza, e non dire che “non ci sono” mentre si fa baldoria alla costosissima sagra di paese.
Le amiche di Professione archeologo, in un post che ha suscitato grande dibattito e ha stimolato questa riflessione maremmana, si chiedono: “siamo (noi archeologi, ndr) davvero in grado di comunicare all’esterno chi siamo, cosa facciamo e soprattutto perché?”, e “siamo (la società tutta, ndr) disposti a rinnovare profondamente il rapporto tra bene culturale e pubblico?”. Leggete quel post, io non dico altro: le risposte emergono da sé.
Ottima come sempre 😉
Grazie commossa
Comlimenti per il blog e per la NOTIZIA DA URLO!!!!!
🙂 🙂 🙂